L’essere umano cresce e si
sviluppa impadronendosi della cultura della propria specie e questo avviene in
maniera assolutamente originale.
Impadronirsi della cultura vuol dire imparare ad essere uomini del
proprio tempo, essere attori che vivono la propria vita in relazione produttiva
con i propri simili.
In quale modo e a quali condizioni ciò possa avvenire è l’oggetto della
riflessione pedagogica.
L’originalità dello sviluppo di ciascuno non permette l’elaborazione di
schemi che possano ridurre gli esseri umani a “casi”; infatti, non è possibile
trovare neanche solo due situazioni evolutive identiche, perché le variabili
che vi concorrono sono tante ed infinitamente originalmente intrecciabili tra
loro, da garantire l’assoluta non omologabilità degli individui.
Oggetti dell’analisi pedagogica hanno finito così con l’essere le singole
variabili che si interconnettono nel processo evolutivo, come, ad esempio, il
clima educativo, il rapporto genitore-figlio, il rapporto docente-discente, la
valenza formativa dei diversi contenuti; ciò probabilmente, nel tentativo di
risalire dalle parti al tutto, sulla scia della ricerca psicologica che è
andata isolando e approfondendo le singole funzioni del cervello: la memoria,
la motivazione, la capacità attentiva, l’oblio, eccetera.
Certamente le sperimentazioni nei laboratori di psicologia e le ricerche
sul campo offrono elementi preziosi di conoscenza, indispensabili ad ogni serio
operatore educativo.
Risulta importante tuttavia, che essi non siano utilizzati solo fine a sé
stessi, cioè per comprendere il comportamento del soggetto, ma che se ne faccia
un buon uso pedagogico, cioè che essi servano per predisporre gli interventi
educativi per aiutare i soggetti a crescere meglio.
In altri termini, l’educatore deve conoscere i risultati delle ricerche
per poterle strumentalmente utilizzare per operare una rilettura in sede
operativa.
Così, è per questo bisogno pratico di cogliere la totalità della
situazione, la gestalt potremmo dire, che si è finito[1] con
il ridurre a sole tre classi i fattori che concorrono allo sviluppo di ciascun
individuo: il patrimonio genetico personale, la famiglia e le istituzioni sociali.
Le tre classi hanno, diciamo
così, incidenza equa sul soggetto: se ognuna delle tre parti assolve al meglio
il proprio compito, lo sviluppo del soggetto risulta ottimale; se una delle
forze della terna risulta carente, allora diventa necessario che le altre forze
producano più risultato, cioè ricorrano a maggiori sforzi per colmarne le lacune.
Molto spesso questa
situazione si presenta quando la forza debole risulta essere quella
genetica. Il patrimonio biologico, cioè
il bagaglio potenziale, la predeterminazione genetica che ogni essere umano
possiede, influenza la sua condotta comportamentale, e gioca un ruolo determinante nella conquista
delle conoscenze, cioè nell’apprendimento.
Le ricerche di laboratorio sull’apprendimento degli animali, vedono
concordi gli esponenti della sperimentazione psicologica su questo argomento;
infatti sia la scuola della teoria stimolo-risposta,[2] sia
quella della teoria cognitivista,[3]
ritengono che le capacità dei diversi individui sono importanti e risultano
determinanti nel processo di acquisizione delle conoscenze, in quanto stanno ad
indicare delle limitazioni o dei vantaggi sia di una specie rispetto ad
un’altra, che tra gli individui della stessa specie.[4]
Questo lascerebbe spazio
al pensiero che nulla si potrebbe ottenere, quindi, in termini di risultati
cognitivi, da soggetti cerebrolesi[5] o
affetti da qualsiasi limitazione senso motoria. E’ fortunatamente noto, invece,
che l’intervento mirato delle forze educative sociali permette a questi
individui, non solo di vivere al meglio delle proprie possibilità, ma di
diventare protagonisti della cultura.
I
soggetti svantaggiati, che presentano carenze fisiologiche, sono quelli intorno
cui,in uno Stato sociale, si tessono le reti del sostegno, del potenziamento e
dell’aiuto e che ricevono,anche in famiglia, maggiori cure e attenzioni.
Analogamente
alla situazione precedente, in presenza di situazioni familiari critiche,
quando cioè allo sviluppo del bambino la famiglia non contribuisce
adeguatamente, ma addirittura provoca dei danni, la scuola e la società tutta,
con le sue diverse agenzie educative[6] sono
chiamate a svolgere compiti suppletivi.
Se si riesce ad attivare interventi educativi proficui in tale direzione
e se le potenzialità del soggetto e la sua spinta motivazionale sono più che
buone, allora può avvenire un recupero completo del soggetto,anche sotto il
profilo cognitivo.
Nondimeno può avvenire che un individuo, nel suo cammino evolutivo,
incontri un ostacolo costituito dalle istituzioni sociali ed in particolare
dalla più significativa delle istituzioni educative, che è la scuola.
Questo caso è più grave rispetto ai precedenti, in quanto la scuola,
centro intenzionalmente teso alla formazione dei giovani,che vede impegnati
operatori qualificati, dovrebbe poter garantire la propria azione, ed inoltre
perché una scuola “sbagliata” danneggia contemporaneamente più soggetti.
In questa situazione, comunque,
affinchè il soggetto non subisca danni o ritardi nell’apprendimento, è
necessario che gli interventi della famiglia e le capacità proprie
dell’individuo sopperiscano alla carenza della scuola.
Tutto quanto su detto comporta una chiara conclusione: può avvenire la
crescita e lo sviluppo completo dell’individuo quando le tre classi di
variabili sono ben equilibrate; in questa situazione ottimale non si verificano
sforzi particolari né del soggetto, né delle altre forze a tutto vantaggio
della sfera emotiva del soggetto stesso.
Quando anche solo una delle tre componenti risulta debole, deficitaria o
assente, teoricamente non dovrebbe esserci successo sul piano cognitivo.
Alla risoluzione del problema si offre la pedagogia, in quanto forza
equilibratrice, produttrice di energia suppletiva: la ricerca teorica e la
pratica operativa si traducono in interventi che possono rideterminare la
situazione, potenziando la forza debole o rendendo più incisive le altre, in
un’azione coordinata e sincronica che ha come obiettivo sempre solo lo sviluppo
integrale di ciascun individuo.
Ancora una volta si ripropone così, la questione della visione globale
dell’intervento sulla personalità, piuttosto che sui singoli aspetti
psicologico-comportamentali.
È compito del
pedagogista creare intorno a
ciascun soggetto la migliore delle situazioni che conducano alla conquista di
conoscenze e alla loro utilizzazione produttiva. Nessuna componente è
trascurabile: come un sarto il pedagogista deve cucire sul soggetto l’ambiente
educativo su misura.
L’apprendimento è quel processo
attraverso il quale l’individuo acquisisce nuove conoscenze che producono la
formazione di nuovi schemi di comportamento. L’apprendimento è una funzione
della mente e il meccanismo che lo determina è strettamente collegato alle
altre funzioni del cervello, in modo particolare la memoria e la motivazione.
L’individuo
riceve informazioni dal mondo esterno attraverso gli impulsi che raggiungono
gli organi di senso e che vengono trasformati in impulsi i elettrici ed inviati
al cervello attraverso i neuroni per la loro decodifica; in altri termini è il
cervello che ascolta, vede, riconosce i dati che sono raccolti dai recettori
esterni.
Il cervello, che
funge da magazzino, o in termini informatici, costituisce la memoria centrale
della macchina corporea, contiene una grande quantità di informazioni le quali,
collegandosi le une alle altre, costituiscono il bagaglio di conoscenze del
soggetto. Ogni dato raccolto dai recettori sensoriali va a connettersi con quelli già accumulati e, quando è già
presente, viene immediatamente riconosciuto dall’individuo: quando alle nostre
orecchie giunge un rumore d’acqua che colpisce i vetri di una finestra, il
nostro cervello riconosce la pioggia, perché risulta in possesso dei dati per
effettuare la decodifica.
Se giungono alla
mente informazioni nuove, il cervello comunica al soggetto un mancato
riconoscimento e richiede nuove informazioni. Quando il soggetto riesce a raccogliere
i dati necessari a collegare la novità con quanto di simile è in suo possesso,
quando cioè riconosce in alcuni elementi similitudini ed assonanza, scatta
l’apprendimento, che avviene per esperienza, sia diretta che mediata da altri
individui e, nel caso dell’uomo, da prodotti culturali.
I processi
apprenditivi sono alla base della sopravvivenza dell’individuo: acquisendo
strategie di comportamento il soggetto riconosce il pericolo, amplia il proprio
potere sull’ambiente: migliora la qualità della propria vita.
Ma l’apprendimento è un processo
costoso: richiede l’investimento di attenzione e il rinforzo dell’esperienza.
L’apprendimento operante, teorizzato dagli studiosi del cognitivismo, si fonda
sugli esperimenti sugli animali in laboratorio condotti per primo da Pavlov,
poi da Skinner, ecc., che mostrano come nell’animale si formino degli schemi di
comportamento quando gli stessi producono un benessere al soggetto e quando
vengono ripetuti per un numero di volte variabile a seconda della complessità
dello schema da registrare.
L’individuo
quindi, deve avere una ragione per investire energia in un nuovo apprendimento,
cioè deve avere una motivazione, che può essere intrinseca o estrinseca al
soggetto e determina il tipo di apprendimento: meccanico, per ricezione o
significativo, per scoperta (Ausubel).
Quando il
cervello decodifica l’informazione giunta attraverso i nervi sensoriali,
utilizza una memoria detta a breve termine (Short Time Memory) che trattiene la
traccia mestica per breve tempo. Quando il dato viene adeguatamente rinforzato
(i tempi variano da soggetto a soggetto, sia per la struttura genotipica che
per la storia fenotipica), entra nella cosiddetta Long Time Memory, cioè
l’informazione viene archiviata nell’hard disk e diviene patrimonio
dell’individuo.
Gli studi
compiuti sulla memoria, in particolare dallo Human Information Processing,
hanno dimostrato che esistono varie memorie dette di servizio, cioè
specifiche di determinate azioni e che permettono la comparsa degli
automatismi, come ad esempio la memoria volatile legata alla lettura.
La sede della
funzione mnestica sta nell’ippocampo; ciò è stato dimostrato dalle lesioni di
questa parte del cervello effettuate sulle cavie che avevano costruito un
apprendimento operante, per prove ed errori (trial and error) ed a seguito
dell’intervento ne avevano completamente perduto la traccia.
La situazione motivazionale
Lo sviluppo dell’individuo non può essere concepito come semplice
processo predeterminato, ma come il prodotto di numerosi fattori esterni che lo
influenzano.
Il pensiero psicologico ha individuato le ragioni del comportamento e
dell’evoluzione dell’uomo, oltre che nel comportamento riflesso e in quello
specie-specifico, soprattutto nel comportamento motivato. Per comportamento
riflesso si intende la sequenza di riflessi mediati dal midollo spinale e
indipendenti dalle condizioni interne dell’organismo e dalle condizioni
ambientali esterne. Nel comportamento specie-specifico o istintivo compaiono
gli stessi riflessi del precedente tipo, ma svincolati dal controllo ormonico
attraverso l’azione integrativa degli specifici centri ipotalamici. In entrambi
questi casi non compaiono motivazioni esterne all’individuo. Il comportamento
motivato, invece, prevede l’azione diretta ad una meta ed accompagnata dalla
corrispondente motivazione a raggiungere lo scopo. Quest’ultimo comportamento
si presenta solo negli esseri evoluti, quando compare la relazione fissa tra
stimolo e risposta, cioè quando interviene
l’apprendimento[7]. Più che legata al soddisfacimento immediato
del bisogno, il comportamento motivato risulta essere più legato al rinforzo.
Il comportamento motivato, da sempre oggetto di riflessione della
psicologia umanistica e della pedagogia personalistica, è oggi studiato in
generale dalla pedagogia sociale[8]. Esso considera l’uomo nella esperienza
quotidiana, e riduce a tre le cause del comportamento: i fattori biologici,
quelli culturali e l’insieme delle regole ambientali-naturali. Secondo
la sintesi di P. Massimini e di F.Inghilleri[9] i
fattori biologici sono le istruzioni comportamentali genetiche che ogni
individuo eredita al momento della nascita. Utilizzando il lessico informatico,
il corpo umano è da considerare come il “veicolo” nel quale si depositano e da
cui si possono trasmettere, anche modificate e migliorate, le informazioni che
giungono dall’esterno.
L’insieme
delle regole ambientali-naturali è costituito dalle pressioni che l’ambiente
geografico esercita sul soggetto, in termini di clima, di coordinate di
posizione, di densità di popolazione.
Infine, gli elementi culturotipici, i più interessanti, si distinguono in
intrasomatici ed extrasomatici. I primi sono l’insieme del mondo interiore
individuale, ossia le istruzioni culturali che ciascuno ha interiorizzato nel
corso del processo di socializzazione: valori, norme, ideologie. I secondi
costituiscono i vincoli o le regole culturali che sono fonti di apprendimento,
cioè le teorie scientifiche, le norme, le tecnologie. Sono, in altri termini,
tutte le informazioni che raggiungono l’individuo e che hanno la caratteristica
di essere dei “replicatori”, cioè delle notizie riproducibili dall’individuo
stesso.
In questa panorama si delinea la figura dell’individuo costruttore di
conoscenze, che, in un feed-back continuo con le informazioni culturotipiche,
quelle che K. Popper chiama oggetti del Mondo 3[10], si
evolve, determinando filogeneticamente ed ontogeneticamente la nascita di sé
personali più evoluti. La specie umana si migliora e cresce perché si creano
continuamente nuove strutture concettuali che permettono la formazione di sé
personali più elevati.
Ci interessa, a questo punto, sottolineare ancora la ineliminabile
necessità di considerare non l’individuo, ma “l’individuo con”, cioè in
interazione con l’altro da sé, in quanto è nell’interazione, quindi nel gruppo,
per quanto se ne è già detto, che le straordinarie potenzialità innovative
dell’uomo si manifestano.
Jacob Moreno sosteneva che, come per un processo chimico, il gruppo cessa
di essere una somma di io singoli, per diventare un nuovo io collettivo, più
capace di conoscere e risolvere i problemi. Più recentemente, P. Inghilleri
sostiene che “la strutturazione del sé personale può avvenire solo attraverso
il continuo rapporto che l’individuo ha, nel corso della vita quotidiana, con
la comunità esterna”[11]. Dal nostro punto di vista pedagogico, ci
interessa capire quale siano le condizioni che permettono a taluni individui di
svilupparsi e di apprendere conoscenze più di altri e se queste condizioni
possono essere rintracciabili e controllabili operativamente. Sembra che il nostro quesito
implichi fondamentalmente non tanto e non solo l’attenzione al bagaglio
culturale individuale, quanto piuttosto alla “forza”, alla capacità di impegno
perdurante che i soggetti più culturalmente avanzati mostrano nei confronti del
compito educativo. In altri termini la domanda è: perché alcuni individui sono
più determinati, più motivati di altri rispetto allo sforzo dell’apprendere?
La motivazione è un concetto complesso che comporta necessariamente una
serie di specificazioni.Tra le teorie sulla motivazione quella che meglio delle
altre sembra offrire esaustiva visione della problematica, è la flow of consciousness, o teoria del
flusso di coscienza, elaborata da M. Csikszentmihalyi, uno psicologo
dell’Università di Chicago, tra il 1975 ed il 1985. Così ne scrivono P. Inghilleri e F. Massimini: “La teoria del
flusso di coscienza è particolarmente interessante in quanto è in grado di
evidenziare e spiegare al contempo sia i meccanismi regolatori della qualità
dell’esperienza soggettiva, sia i processi che portano alla formazione e alla
crescita del Sé individuale, sia i meccanismi del cambiamento del sistema
culturale esterno. Lo scenario dove
questi fenomeni avvengono è il contesto stesso della nostra vita quotidiana”.
Per M. Csikszentmihalyi la motivazione è il focalizzarsi di una persona
su uno scopo che quella persona intende raggiungere. Può essere classificabile
in quattro gruppi: nel primo gruppo ci sono motivazioni intraindividuali a sistemi
chiusi, che sono quelle di tipo biologico, come la soddisfazione del bisogno di
cibo e di sonno; nel secondo si trovano motivazioni interindividuali a sistemi
chiusi, che sono le motivazioni culturotipiche intrasomatiche, delle quali si è
già detto poco sopra. Al terzo
gruppo sono legate motivazioni del tipo interindividuale a sistema aperto, che
sono legate all’interazione di un individuo con i quadri valoriali culturali;
in questo caso siamo di fronte alle possibili modificazioni delle posizioni
culturotipiche intrasomatiche di un individuo, magari in processi di scalata
sociale e di ricerca del miglioramento degli standard di vita. Nell’ultimo gruppo rientrano le motivazioni
legate a motivi intraindividuali a sistema aperto: queste sono le grandi motivazioni
che permettono all’uomo di superare la soglia della propria dimensione e che
consentono il progressivo miglioramento del sé.
Per Sé personale si intende “l’informazione presente nella coscienza che
rappresenta l’organismo stesso in quanto entità che processa l’informazione. E’
composta di esperienze passate connesse da atti di intenzionalità verso degli
scopi e modellato mediante un sistema retroattivo (...) è la risultante delle
relazioni dell’individuo con le istruzioni comportamentali esterne, ed è perciò
costituito dal genotipo, dalla cultura intrasomatica e dalle valenze cognitive
e affettive che li connotano”. Il
Sè sarebbe formato da due parti, una parte osservabile attraverso
l’introspezione, il Me, ed una parte
che si potrebbe definire energia creativa, che non è visibile, ma della quale
possiamo avere sensazione in determinati momenti della nostra vita: si
tratterebbe dell’energia vitale che si manifesta con la capacità di attenzione
e di concentrazione: l’Io.
Solo in situazioni particolari l’Io permette all’uomo di svincolarsi
dalle istruzioni comportamentali precedentemente acquisite, che costituiscono
il Sé, lasciando spazio a nuove determinazioni; in questi momenti “emergenti”,
l’individuo raggiunge un potere di concentrazione estremamente elevato che gli
consente di seguire le motivazioni più interne in attività che non necessitano
di alcuna gratificazione, cioè di alcuna ricompensa di tipo interno, in quanto
il fortunato soggetto è gratificato dallo stesso stato di coscienza, dall’aver soddisfatto
la sua motivazione di competenza.
Ad ogni flusso di coscienza l’individuo esce arricchito di quelle
strutture mentali che gli permettono di allargare il proprio orizzonte
cognitivo e, di conseguenza, predisposto a nuove situazioni motivazionali che
permetteranno nuovi flussi di coscienza.
Questi momenti, che potremmo definire stati di grazia, non sono né
controllabili, né programmabili, ma sono il prodotto della capacità di porsi un
obiettivo e di volerlo perseguire.
Le rese produttive aumentano e “vi è un equilibrio tra come l’individuo
vive soggettivamente il livello di impegno, di difficoltà, di sfida
rappresentato dall’opportunità d’azione esterna (challenge) e. d’altra parte, quanto egli si vive abile e capace di
far fronte a quella situazione (capacità personali o skill)”. Solitamente,
invece, sia nell’agire dell’individuo adulto, che nel bambino che si trova ad
affrontare compiti cognitivi, compaiono squilibri tra challenge e skill, che
comunque provocano l’incapacità all’azione: se il soggetto percepisce la sfida
come inferiore alle proprie capacità (challenge<skill), compare lo stato di
noia, quando la situazione è inversa, cioè si sente incapace di affrontare il
compito allora compare lo stato d’ansia. L’individuo
per raggiungere il flusso di coscienza deve poter equilibrare le due
componenti, e liberare così il suo potenziale creativo.
Qualcosa di molto simile aveva intuito J. Moreno, se consideriamo la sua
teoria della creatività e della spontaneità. Ecco come ne parla egli stesso: “I
concetti di spontaneità e creatività sono concetti universali che costituiscono
le pietre angolari del sistema sociometrico,(...) non sono affatto processi
identici e neppure simili.(...) La spontaneità può risvegliarsi in un individuo
dotato di potere creativo e incitarlo all’azione. E’ nata una schiera di
individui ognuno dei quali era un Michelangelo in potenza, ma uno solo ha
dipinto quei capolavori;(...) ciò che li ha distinti è stata la spontaneità
che, nei casi felici, ha trasformato in azione le attitudini virtuali mentre
negli altri casi l’impotenza a realizzarsi ha fatto perdere loro ogni tesoro:
ciò che è mancato loro è stata la forza di liberazione delle loro energie.”(
MORENO )
Le suggestioni che da queste teorie giungono ad un operatore educativo
sono molto forti: l’idea che si affaccia è quella di poter predisporre contesti
educativi che favoriscano la nascita della motivazione.
[1]
Il riferimento d’obbligo va a Jean
PIAGET, in Psicologia ed epistemologia edito in Italia nel 1974 da
Loescher. In particolare, nel terzo
capitolo, intitolato “Necessità e significato delle ricerche comparative in
psicologia genetica”, Piaget ha analizzato i fattori dello sviluppo: quelli
biologici, quelli sociali e quelli della trasmissione educativa.
[2] La teoria S-R è quella che si rifà a
psicologi quali Thorndike, Pavlov, Skinner, Hull. Nei riguardi dell’apprendimento la loro
posizione si può riassumere in questi termini:
- l’apprendimento avviene per prove ed
errori;
-l’uomo apprende abitudini;
-sono gli intermediari periferici, cioè i
sensi e le risposte muscolari le parti del nostro corpo maggiormente
responsabili dell’apprendimento.
[3] La teoria cognitiva è quella che si rifà a
Tolman e agli psicologi classici della Gestalt, come Koler e Koffka.
Per i cognitivisti :
- l’apprendimento avviene con la formazione
di strutture cognitive;
- si apprende maggiormente e
significativamente per intuizione;
- le parti del corpo maggiormente
responsabili dell’apprendimento sono gli intermediari centrali, cioè quelli
ideativi, come la memoria o le aspettative, che ineriscono al sistema nervoso
centrale.
Per
una maggiore trattazione dell’argomento delle note 2 e3, si segnala il lavoro
di HILGARD e BOWER Le teorie dell’apprendimento edito in Italia da
Franco Angeli 1970
[4] Ciò appare peraltro intuitivamente chiaro se si
pensa alle differenze che corrono tra, ad esempio, il poter guardare o il non
poterlo fare, tra il possedere una massa cerebrale ampia o meno, tra l’essere
individui giovani e privi di esperienza o, invece, maturi e viceversa ricchi di
esperienza.
[5] Si vuole far qui riferimento, in
particolare, a due pedagogisti che hanno curato scientificamente l’educazione
cognitiva dei cerebrolesi: in Italia, MARIA MONTESSORI, la quale, con la sua
educazione dei sensi e con il suo bambino “ordinato”, ha dimostrato come la
motivazione ad apprendere guida la crescita di ciascuno; e oltreoceano, a GLENN
DOMAN, il quale ha presentato nella sua opera, pubblicata da Armando, 1969,
intitolata Leggere a tre anni,il risultato delle sue intuizioni e delle
sue sperimentazioni su soggetti cerebrolesi: Doman sostiene che l’uomo spreca
in larga misura le possibilità del suo cervello e questo vale in modo
particolare per i bambini, ai quali gli adulti negano molte possibilità di
apprendere con gioia.
[6] Il riferimento va alle diverse istituzioni sul territorio che si
offrono come luogo di aggregazione e di scambio,come la parrocchia, i centri
sportivi, i clubs , i centri di ascolto, i consultori. Più diffusamente se ne
tratterà più avanti.
[7] L’argomento è stato
trattato diffusamente in Psicologia
generale e dello sviluppo di R.CANESTRARI, Edizioni CLUEB Bologna, 1990.
[8]
L’Università di Chicago può essere considerata all’avanguardia nel campo della
psicologia sociale. Il riferimento va a psicologi quali P.F.Secord, P.Stringer,
D.Bannister, H.Tajfel del cui lavoro di ricerca si trovano riferimenti
nell’op.cit., a cura di G.V.CAPRARA, Personalità
e rappresentazione sociale.
[9]
Op.cit., P.INGHILLERI-F.MASSIMINI, Personalità
e rappresentazione sociale.
[10]
Si è già fatto riferimento alla Teoria dei Mondi di Karl Popper, nella premessa
di questo lavoro, alla nota 2.
[11]
P.INGHILLERI, op. cit., p.132.
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